Non solo i malati, ma anche chi se ne prende cura: il supporto psicologico è fondamentale per chiunque si trovi ad affrontare i cambiamenti di una patologia cronica.
Quando insorge una malattia che ha risvolti cronici sul paziente, la sua intera esistenza cambia. Ciò che è stato prima della diagnosi si sgretola e una nuova realtà prende il posto delle abitudini.
Il supporto psicologico diventa, quindi, necessario in qualsiasi processo di accettazione della patologia. Questa, la tematica principale portata all’evento “L’intervento psicologico nel mondo dell’ipovisione” organizzato dall’Osservatorio di Psicologia in cronicità dell’Ordine degli Psicologi del Lazio in collaborazione con il Polo Nazionale di Servizi e Ricerca per la Prevenzione della Cecità e la Riabilitazione Visiva, tenutosi il giorno 22 Marzo 2023.
I cambiamenti, però, non sono limitati al soggetto interessato, ma si espandono sull’intero nucleo di persone a lui vicine, ricadendo soprattutto sul “caregiver”, ossia la persona che si prende cura direttamente del malato.
Ma chi è il caregiver e cosa succede alla sua salute psicologica nel momento in cui deve affrontare una malattia cronica?
Ne parla la Dottoressa Mara Lastretti, coordinatrice e consigliera dell’Osservatorio di psicologia in cronicità dell’Ordine degli psicologi del Lazio.
- Dovendo fare un quadro descrittivo, chi è il caregiver?
Il caregiver è la persona che si prende cura del soggetto a cui è stata diagnosticata una patologia, cronica la maggior parte delle volte, subendo involontariamente dei cambiamenti nella propria sfera privata e pubblica. Molto spesso, le persone che si occupano dei malati, vengono identificati come “eroi” ma non è così semplice, la situazione di cronicità è un evento totalmente casuale che genera un forte shock emotivo sia per chi ne è affetto sia per chi ne subisce le conseguenze secondarie. Il caregiver prende le onde d’urto della patologia e subisce uno stravolgimento della propria vita esattamente come la persona malata. Immaginiamo, ad esempio, un genitore a cui viene detto che il proprio figlio soffre di una patologia cronica, come può essere il diabete o l’ipovisione: la sua vita, da quel momento in poi, si svolgerà prevalentemente in funzione della sopravvivenza del bambino. Ma, molto spesso, possono essere anche gli stessi figli a dover diventare caregiver del genitore provocando un completo ribaltamento dei ruoli con non poche difficoltà emotive. Non dimentichiamo, inoltre, che i caregiver devono occuparsi anche di tutta la parte burocratica sanitaria, impiegando molto del proprio tempo per la tutela della salute altrui. È un lavoro a tempo pieno sotto tutti i punti di vista.
- Lei ha parlato di figli che diventano genitori dei propri genitori. Nel momento in cui ciò accade, cosa succede a livello psicologico?
C’è sicuramente un ribaltamento dei ruoli. Nella nostra vita, rapportandoci con le figure genitoriali, attraversiamo diverse fasi: all’inizio i genitori vengono considerati dei supereroi che proteggono e fanno crescere; segue la fase della differenziazione, quindi l’adolescenza, ossia quando il figlio comincia a contestare le personalità dei genitori creandosi una propria identità, che lo porterà poi all’età adulta. Ad un certo punto della vita, avviene, però, un ribaltamento della situazione: i genitori cominciano ad invecchiare e ad essere richiedenti di cure. Molti la chiamano la fase della “restituzione”, il momento in cui restituisco letteralmente ai miei genitori ciò che mi hanno dato quando ero bambino. È qui che i figli si scoprono dei veri combattenti, imparando a fare i genitori dei propri genitori, prendendo sulle proprie spalle il peso di decisioni importanti, sia per la propria vita che per quella della madre o del padre. Basti pensare a tutte le persone che si trovano a dover lasciare i propri cari in delle strutture apposite, come possono essere le RSA: è un peso psicologico da non sottovalutare, una scelta difficile che comporta molto stress emotivo.
- Focalizzandoci, invece, sul mondo dell’ipovisione, questa può essere il frutto di malattie degenerative come ad esempio il diabete. Come si può gestire a livello psicologico la concomitanza di due malattie sia per quanto riguarda i pazienti che per i loro caregiver?
È fondamentale entrare nell’ottica che la prevenzione psicologica è necessaria nel momento in cui viene diagnosticata una qualsiasi patologia cronica che, come succede spesso, potrebbe avere ulteriori riscontri e modifiche sulla salute generale dell’individuo. Ci sono delle fragilità e delle complicanze che possono accentuarsi nel momento in cui ci sono delle nuove difficoltà da affrontare. Bisogna, necessariamente, lavorare sul concetto dei “brutti momenti”, che devono sempre essere percepiti come passeggeri e non di routine, poiché si è sempre in tempo per riprendere in mano la propria storia, riscriverla e lavorarci su. Se il paziente, e con lui il caregiver, ha un supporto psicologico è in grado di contenere i momenti di sconforto e trovare la forza di andare avanti. Molto importante è leggere la storia delle persone, comprendere in che punto si è rotto il meccanismo e provare ad aggiustarlo con la terapia. Quando avviene una diagnosi nella diagnosi, a livello psicologico il peso raddoppia e l’equipe medica deve lavorare in maniera sartoriale al fine di cucire su misura la terapia perfetta che sostenga il soggetto in tutti gli aspetti della sua esistenza. Bisogna lavorare sulla parte “sana” delle persone per farla diventare il punto focale di ripartenza.
- Può raccontarmi un esempio in cui la riabilitazione psicologica è stata fondamentale per il miglioramento della salute del paziente?
Quando avviene una diagnosi, lo shock è molto forte e le deflessioni del tono dell’umore possono essere estremamente frequenti. Cambia l’immagine sociale di una persona e questo diventa un periodo molto delicato e problematico. Durante l’evento del 22 Marzo a Roma, abbiamo ascoltato la testimonianza di una paziente affetta dalla sindrome di Charles Bonnet, la quale aveva paura di essere considerata pazza quando raccontava le sue allucinazioni e ciò le creava una fortissima ansia. Grazie ad un percorso di riabilitazione visiva e psicologica, e alla professionalità della Dottoressa Rellini e della Dottoressa Fortini presso il Polo Nazionale di Servizi e Ricerca per la Prevenzione della Cecità e la Riabilitazione Visiva del Policlinico Gemelli, sia lei che il suo caregiver sono riusciti a giostrare la situazione. La cosa fondamentale, sempre, è prendere per mano il paziente e accompagnarlo nel suo nuovo percorso di vita.