Accogliere il paziente come persona per arrivare all’accettazione dell’ipovisione come condizione di vita, potenziando le proprie risorse interne. È questo uno dei pilastri del modello di riabilitazione visiva del Polo Nazionale di Ipovisione, presentato al webinar “L’intervento psicologico nell’ipovisione anche in tempo di Covid-19”.
Il 13 ottobre il webinar “L’intervento psicologico nell’ipovisione anche in tempo di Covid-19”, organizzato dall’Ordine degli Psicologi del Lazio, è stato l’occasione per presentare il modello di riabilitazione visiva del Polo Nazionale Ipovisione e Riabilitazione visiva e la sua esperienza di teleassistenza in epoca Covid. Il modello operativo, nel quale emergono i possibili interventi dello psicologo nel percorso riabilitativo, è stato illustrato da Simona Turco, Medico Oculista – Research Coordinator, Emanuela Rellini, Psicologa e Psicoterapeuta e Stefania Fortini, Psicologa, Psicoterapeuta e Vicedirettore del Polo Nazionale Ipovisione.
Assieme alla prevenzione e alle terapie, la riabilitazione visiva è parte integrante delle cure, uno strumento fondamentale per i pazienti che hanno perso una quota importante di vista e un’occasione concreta per tornare a svolgere le attività quotidiane: “La minorazione visiva – spiega Simona Turco, Medico Oculista – consiste in una riduzione più o meno grave della funzione sensoriale che consegue ad un danno a carico dell’apparato visivo, con il coinvolgimento del bulbo oculare, delle vie nervose oppure della corteccia cerebrale. Al nostro Centro di riabilitazione le persone vengono prese in cura da una serie di figure professionali necessarie a ‘prendere in carico’ il soggetto ipovedente nella sua globalità”.
Accettare la condizione di ipovisione è però il primo passo per iniziare il percorso di riabilitazione: “La disabilità visiva – spiega Emanuela Rellini, Psicologa e Psicoterapeuta – è vissuta come la morte di una parte di sé con le reazioni emozionali tipiche di un vero e proprio lutto. Le persone devono fare i conti con la perdita di una loro facoltà fondamentale e sono chiamate ad integrare nella propria identità una “nuova” visione di sé. Il periodo iniziale può essere quindi accompagnato da sconforto, depressione, ansia, mancanza di fiducia in sé, senso di inferiorità e inadeguatezza. Nel momento in cui sono pronte ad accettare la propria condizione, si attiva la richiesta di aiuto e la scelta degli ausili utili a migliorare lo svolgimento delle attività quotidiane”. È qui che entra in gioco lo psicologo, una figura fondamentale per l’efficacia del percorso riabilitativo: “Lo psicologo – prosegue – interviene per verificare i prerequisiti emotivi, cognitivi e motivazionali necessari per iniziare il percorso di riabilitazione. Il colloquio clinico individuale o, se la situazione lo richiede, gli interventi psicoeducativi su paziente e familiare sono alcune delle azioni utilizzate per verificare l’impatto della diagnosi”.
Ecco perché quello del Polo Nazionale è un vero e proprio modello riabilitativo biopsicosociale che mette al centro la persona: “Il percorso di riabilitazione visiva del Polo – chiarisce Stefania Fortini, Psicologa, Psicoterapeuta e Vicedirettore del Polo Nazionale Ipovisione – si avvale di un’équipe multidisciplinare all’interno del quale lo psicologo ha il compito iniziale di accogliere la persona prendendola in carico. Successivamente, effettua un vero e proprio ‘passaggio di consegne’ all’oculista, che verifica la funzione visiva. Durante la riabilitazione della persona, però, possono attivarsi alcuni meccanismi di difesa ed è qui che interviene lo psicologo, sostenendo la relazione tra ipovedente e riabilitatore e supportando quest’ultimo nella scelta dei programmi e degli ausili più opportuni”.
L’attività di riabilitazione visiva del Polo è proseguita anche durante l’esplosione della pandemia: “Il lockdown – prosegue Fortini – è stato un momento difficile anche per i familiari che hanno vissuto la paura di ammalarsi e, quindi, di privare del sostegno il loro caro, così come di essere veicolo di contagio. In quel periodo abbiamo sostenuto le persone attraverso il sostegno psicologico, con colloqui individuali da remoto, oppure con interventi a sostegno delle famiglie. È proseguita anche l’attività dei gruppi di auto mutuo aiuto che, in maniera sorprendente, sono stati gestiti per intero dagli stessi pazienti, per cui noi psicologhe da conduttrici siamo divenute ospiti. Il supporto da remoto ci ha permesso di monitorare lo stato emotivo delle persone e di comprendere ancora di più che le difficoltà psicologiche del paziente ipovedente sono state superiori a quelle di altri pazienti cosiddetti fragili. Per venire incontro alle difficoltà pratiche lamentate abbiamo realizzato alcuni podcast per aiutare le persone a ‘riorganizzare’ le propria quotidianità, rafforzando le strategie di coping o di gestione dello stress e aiutandole a trovare nuovi punti di riferimento. Lo stesso software di home training, Eyefitness, progettato dal Polo, ha permesso ai pazienti di continuare ad eseguire gli esercizi riabilitativi personalizzati, costantemente tele-monitorati dall’équipe del Centro”.
La ricerca scientifica nel campo dell’ipovisione è un altro tassello fondamentale delle attività del Polo Nazionale: “Lo studio di alcune malattie che danneggiano la visione, in particolare del glaucoma – afferma Simona Turco – aiuta a comprendere i meccanismi alla base della neurodegenerazione. L’occhio, infatti, è un ponte di collegamento con il mondo esterno, una vera e propria ‘finestra sul cervello’ ed è un sito privilegiato per studiare le patologie neurodegenerative, in primis la malattia di Alzheimer. Il grande valore che la visione ha nella vita di ciascuno di noi è testimoniato dal fatto che il 30% del sistema nervoso centrale ha a che fare con l’elaborazione visiva, una quota sorprendente rispetto a quanto avviene per gli altri sensi”.
A concludere l’incontro online è la testimonianza di Anna Maria D’Ettorre, psicoterapeuta ipovedente che ha raccontato il suo percorso di riabilitazione visiva: “Al Polo – ha detto – per la prima volta mi sono sentita una persona anziché una paziente. Dopo la nascita del secondo figlio ho pensato di smettere di lavorare, ma grazie all’aiuto del Polo Nazionale sono riuscita a riprendere l’attività di psicoterapeuta a supporto dei bambini affetti da autismo. Avevo problemi nella lettura, ma con l’ausilio di specifiche lenti di ingrandimento ho potuto riprendere l’attività. Attraverso questo percorso, poi, sono stata costantemente spronata ad usare il residuo visivo e a vedere le mie difficoltà da un altro punto di vista”.