Occhiali scuri e pianoforte: la vita di Alessandro, giovane pianista ipovedente

Alessandro Maria Verrenga

Il quattordicenne, affetto da atrofia ottica autosomica dominante, racconta di come la sua malattia non sia un ostacolo per raggiungere i propri sogni, compresi quelli musicali. Una storia di libertà che invita a riscoprire l’attenzione alle difficoltà del prossimo.

«Ricordo che mio fratello ed io correvamo da un piano all’altro per trovare tutti i pianoforti dell’Istituto Sant’Alessio, e scoprire quale fosse a suonare le note più forti»: nasce così la passione per il piano di Alessandro Maria Verrenga, 14enne affetto da atrofia ottica autosomica dominante[1]. Una passione che si è trasformata in un talento e, soprattutto, in un’occasione di rivalsa.

Alessandro infatti, nonostante la sua giovane età, ha lasciato un segno in chiunque lo abbia conosciuto. Con determinazione, positività e ottimismo ha saputo superare gli ostacoli che una malattia degenerativa gli ha posto davanti, senza mai arrendersi. «Quando gli venne diagnosticata la malattia eravamo impreparati» ha raccontato la madre Anna, confessando che né lei né il marito avevano mai sospettato che il primogenito, così come il secondo figlio, potesse essere affetto da una malattia genetica di cui non avevano riscontri nell’albero genealogico.

«Quando era piccolino un giorno cadde dalle scale – ricorda Anna – Una caduta provocata da una fuga: scappava come un diavoletto da quello che, ci ha spiegato dopo qualche giorno, era un “mostro” che lo inseguiva per le scale. Si trattava ovviamente della “macchia” che si stava allargando». Ecco allora che i genitori di Alessandro hanno compreso appieno come la malattia stesse avanzando: «Essendo un bambino l’aveva interpretata come un mostro, a noi è servito per capire l’avanzamento della sua situazione. La chiamammo insieme come la “macchia carolina”, che da nera è progressivamente diventata grigia ed, infine, bianca».

Ad aiutare i genitori, non solo preparandoli concretamente all’avanzamento della malattia del figlio, ma anche a livello psicologico, sono stati gli operatori del Polo Nazionale Ipovisione. «Al Polo si resero conto dell’avanzamento della sua condizione e ci avvisarono in largo anticipo di avviarlo alla elettroscrittura tramite un computer, in modo da fargli acquisire le competenze ancor prima che diventassero necessarie. Questo tipo di accorgimenti ha reso sicuramente meno traumatico per Alessandro affrontare i problemi man mano che si sono presentati» spiega ancora Anna, che ricorda i medici del Polo con grandissimo affetto. «Ci sono entrati nel cuore, ci hanno guidato passo dopo passo, portando molta pazienza, sia nei confronti di noi genitori, inevitabilmente spaventati e impreparati, sia nei confronti di Alessandro e suo fratello, che li hanno fatti impazzire». Un aspetto che ammette anche Alessandro, confermando come dai percorsi di riabilitazione sia nato anche dell’affetto sincero e della stima reciproca con i suoi medici. «Ricordo che li facevo continuamente arrabbiare, scappavo da tutte le parti, mi nascondevo…loro hanno sempre avuto molta pazienza». Come quando Alessandro decise di voler sostenere il test della lettura dei caratteri da vicino per poter «prendere 10 decimi, come se fosse un voto a scuola».

La sua determinazione ha conquistato tutti i medici: tanto che, una volta cominciato ad imparare a suonare il pianoforte scoperto proprio in una delle strutture di riabilitazione, Alessandro ha deciso di tenere il suo primo concerto per i “suoi” medici, suonando al Policlinico Gemelli. A quella esibizione ne sono seguite molte altre: Alessandro ha suonato presso il Santa Cecilia dinanzi al direttore per i 150 anni dell’Istituto S.Alessio, si è esibito durante la cerimonia per i 10 anni del Polo, durante uno spettacolo a palazzo Colonna, e molte altre volte ancora. Ora punta ad entrare nel conservatorio di Santa Cecilia.

Come conciliare lo studio della musica con l’ipovisione? Con grande disciplina, e con un po’ di aiuto. «Ricordo che ricopiavo gli spartiti ingrandendoli» ci dice la madre Anna raccontando delle prime lezioni con un maestro. Con il tempo, e il peggioramento della malattia di Alessandro, non è stato più possibile ricorrere a questo escamotage, motivo per cui è stato consigliato ad Alessandro di imparare il braille musicale

«Trovo meraviglioso come, a partire da 88 tasti, si possano provare una infinita gamma di emozioni, riproducendo suoni all’infinito, seguendo e infrangendo le regole della musica e dei compositori» racconta Alessandro, che vive la sua passione senza farsi frenare dai limiti della sua condizione, sebbene non esistano percorsi dedicati agli ipovedenti nel mondo musicale. Eppure, Alessandro dice di non essersi mai sentito discriminato, ma oltre alla musica ha un altro sogno nel cassetto. «Mi piacerebbe diventare un politico, per difendere e aiutare le persone affette da varie disabilità».

«Spesso la discriminazione è figlia di ignoranza: ad esempio, spesso vengo scambiato per cieco solo perché utilizzo il bastone bianco – conclude Alessandro – Questo è il segno di quanto la nostra società giudichi in base a pregiudizi e mancanza di informazioni: credo sia fondamentale promuovere conoscenza e informazione ma soprattutto valori come quello dell’altruismo, per impedire che si sollevino dei muri che, inevitabilmente, impediscono alla nostra società di progredire in una direzione realmente inclusiva».


[1] Una delle neuropatie ottiche ereditarie più frequenti comporta una progressiva e bilaterale perdita delle vista in giovanissima età