L’auto-percezione alterata nei bambini con ambliopia

L’ambliopia influisce sulla percezione che i bambini dai 3 ai 7 anni hanno di sé. È questa la scoperta di uno studio della Retina Foundation of the Southwest di Dallas.

L’ambliopia, una condizione che si presenta quando il bambino non usa involontariamente un occhio, può influire sulla percezione di sé. A dimostrarlo è uno studio statunitense pubblicato su “Jama Ophthalmology” [1], che ha analizzato le percezioni dell’accettazione tra pari e della competenza fisica nei bambini dai 3 ai 7 anni.

Nello studio trasversale, condotto in un laboratorio pediatrico da gennaio 2016 a maggio 2018, sono stati messi a confronto con 20 bambini sani, 60 bambini con ambliopia e 30 bambini che non avevano sviluppato la malattia, ma che erano stati trattati per strabismo e/o anisometropia.

La percezione di sé è stata valutata attraverso l’uso della “Scala pittorica della competenza percepita e dell’accettazione sociale per i bambini piccoli”, uno strumento che utilizza un approccio multidimensionale valutando l’auto-percezione nei seguenti domini: la competenza cognitiva, l’accettazione da parte dei pari, la competenza fisica e l’accettazione materna.

Dai risultati è emerso che i bambini affetti da ambliopia hanno presentato punteggi di accettazione tra pari e di competenza fisica significativamente inferiori rispetto al gruppo di controllo (2,74 vs 3,11 per l’accettazione tra pari; 2,86 vs 3,43 per la competenza fisica). Tra i bambini con ambliopia, l’auto-percezione della competenza fisica era principalmente correlata all’abilità di “mirare e catturare”. Punteggi di competenza fisica parimenti bassi sono stati riscontrati anche nei bambini con strabismo o anisometropia. Sono state dunque rilevate differenze significative nell’auto-percezione associate a deficit nella visione e nelle capacità motorie.

Seppur di fronte a risultati non generalizzabili, le evidenze empiriche di questo studio suggeriscono cheuna minore percezione di sé possa identificare gli effetti generali di uno sviluppo visivo alterato nella vita quotidiana dei bambini con ambliopia, influenzando la stessa percezione che i bambini hanno di sé.


[1] E. B. Eileen et al., Self-perception in Children Aged 3 to 7 Years With Amblyopia and Its Association With Deficits in Vision and Fine Motor Skills, in “Jama Ophthalmology”, n. 137 (5), February 2019.

La condizione del malato cronico nel Covid-19

La lettera a Quotidiano Sanità firmata dal Polo Nazionale Ipovisione richiama a considerare la crisi dentro la crisi: la grandissima difficoltà, psicologica e materiale, imposta dalla quarantena a chi era già svantaggiato.

Nelle malattie croniche e degenerative che colpiscono la vista la riabilitazione è parte della cura e la terapia psicologica è parte della riabilitazione.

“Senza riabilitazione – spiega il direttore del Polo Nazionale Ipovisione e Riabilitazione Visiva Filippo Amore – i nostri assistiti sarebbero completamente isolati: incapaci di utilizzare gli strumenti vocali e visivi offerti dalla tecnologia per ampliare i confini della loro autonomia. Oggi, per esempio, le riunioni dei gruppi di mutuo-aiuto condotti dallo psicologo avvengono online, in conference call che sono effettuate dalle persone ipovedenti stesse”.

“Questi successi, però, non devono far dimenticare una verità di fondo: la crisi della pandemia è più dura con le persone fragili. Gli ipovedenti non possono essere accompagnati a fare la spesa, non hanno più il rumore delle città a guidarli negli spostamenti e nessuno può più avvicinarsi e prenderli per mano per attraversare la strada o scendere dall’autobus. Ed è solo l’inizio, perché tornare a camminare nel mondo sarà più difficile dopo il COVID-19 di quanto lo era prima: la società sarà meno propensa a quella prossimità fisica e a quel contatto che offriva una guida a chi non ci vede”.

“Tutto questo ci porta a dover considerare con estrema attenzione la condizione dei malati cronici durante la pandemia di COVID-19; a partire dal bisogno di sostegno e ascolto psicologico. Le difficoltà materiali non sono, infatti, le uniche da affrontare; la paura e l’ansia crescono e si sviluppano parallelamente fino a divenire minacce in sé stesse”.

“Per questo – conclude Amore – il Polo Nazionale sostiene senza esitazione la lettera aperta dell’Osservatorio Psicologia in Cronicità – Ordine Psicologi Lazio, apponendo la sua firma a fianco di: Diabete Italia Onlus, Federdiabete Lazio, ARTOI, Con_tatto, FAND, LILT –Frosinone, A.P.E., A.N.I.P.I Lazio, SPICAP, Società Italiana di Sessuologia e Psicologia, Philos, Progetto Eirenè. Il testo della lettera è pubblicato su Quotidiano Sanità a questo link.

L’incarico dell’OMS al Polo Nazionale Ipovisione: definire i curricula formativi per la riabilitazione

L’Italia guida la definizione internazionale delle competenze legate ad un ambito, quello della riabilitazione, che è parte integrate delle cure”, dice il Direttore del Polo Filippo Amore. Mercoledì 4 marzo in teleconferenza l’incontro finale a Roma con le figure di riferimento a livello mondiale. Subito dopo, gli esperti italiani ed esteri partiranno per il Marocco per introdurre la riabilitazione anche in quel Paese e mettere subito in pratica il lavoro fatto in questi ultimi tre anni.

È il secondo triennio che il Polo Nazionale Ipovisione collabora con l’Organizzazione Mondiale della Sanità per definire i confini e fissare gli standard internazionali della riabilitazione visiva.

In particolare, dal 2016, l’obiettivo del mandato OMS è stato quello di definire i curricula formativi di coloro (oculisti, psicologi, ortottisti, istruttori di orientamento e autonomia personale, neuropsichiatri infantili, etc) che operano nell’ambito della riabilitazione visiva.

“Il nostro obiettivo – spiega il Direttore Filippo Amore – è stato quello di individuare criteri e requisiti per la formazione delle diverse professionalità sanitarie coinvolte nella riabilitazione visiva di adulti e minori”.

Obiettivo che verrà centrato il prossimo 4 marzo in teleconferenza, quando alcuni tra i più grandi esperti mondiali in materia si riuniranno a Roma per approvare i curricula redatti dal Polo.

“La riabilitazione – continua il dottor Amore – è parte integrante del percorso di cura. Anche quando la malattia (acuta o cronica) comporta la perdita di quasi tutta la vista, il percorso riabilitativo permette di accettare il dolore, superarlo e recuperare spazi di autonomia. Sia nel mondo che in Italia, la cultura e la prassi riabilitative si stanno ancora sviluppando e non sono del tutto radicate. Con il mandato dell’OMS stiamo aprendo la strada a livello internazionale”.

Il lavoro di redazione e confronto sui curricula formativi ha coperto tre anni. “Siamo partiti con una revisione accurata delle letteratura esistente e dei dati reperibili – spiega la dottoressa Simona Turco referente del progetto – per poi preparare una lista di competenze essenziali e di livello superiore ritenute indispensabili per erogare riabilitazione visiva in ognuno dei tre contesti / livelli di cura individuati dall’OMS: il livello primario di screening e prima accoglienza; il livello secondario di cure ambulatoriali e specialistiche; e, infine, il livello terziario, riservato ad un Centro di riferimento ultra-specialistico e incaricato di fungere da punto di riferimento e di ricerca a livello nazionale”.

La prima stesura dei curricula è andata incontro ad un’estesa revisione condividendola con tanti esperti internazionali che hanno suggerito modifiche e integrazioni. Anche queste, a loro volta, sono state sottoposte all’analisi e al confronto tra specialisti. Da questo processo sono emersi i curricula finali che andranno incontro alla revisione e alle approvazioni definitive nel workshop del 4 marzo 2020.

Nella lunga strada percorsa dal 2013, anno del primo mandato OMS che chiedeva al Polo di fissare gli standard di qualità minimi per la riabilitazione visiva, ha giocato un ruolo importante anche la capacità di adattare i requisiti, gli strumenti e le competenze alle possibilità dei sistemi sanitari di Paesi meno ricchi e industrializzati.

L’incarico dell’OMS al polo nazionale ipovisione: definire i curricula formativi per la riabilitazione “Una armonia difficile da trovare per le comprensibili differenze in dotazioni strumentali, organizzazione territoriale e priorità terapeutiche, ma ne è valsa la pena”, conclude il dottor Amore. A marzo 2020 partirà, infatti, la missione del Polo Nazionale Ipovisione per avviare la riabilitazione visiva in Marocco. Anche questa missione fa parte del mandato OMS e sarà la prima occasione per applicare sul campo sia gli standard della riabilitazione visiva che i nuovi curricula formativi.

Scoperta la connessione tra elaborazione visiva e abilità motoria

Uno studio del Dipartimento di Psicologia della Norwegian University of Science and Technology rivela come i problemi nell’elaborazione delle impressioni visive possano influire sullo sviluppo delle capacità motorie.  

L’elaborazione visiva riguarda il modo in cui il cervello percepisce ed elabora le impressioni degli occhi. Uno studio del Dipartimento di Psicologia della Norwegian University of Science and Technology (NTNU) ha messo in luce come problemi riguardanti l’elaborazione delle impressioni visive possano influire su alcune competenze degli individui, determinando ad esempio ritardi nello sviluppo della capacità motoria.

Nello studio pubblicato su Scandinavian Journal of Educational Research[1], i ricercatori hanno messo a confronto le attività di due gruppi, allo scopo di individuare come differisce l’elaborazione visiva tra distinti livelli di competenza nella lettura. Dei due gruppi, selezionati da un campione di 186 soggetti con un’età media di 24 anni, uno includeva il 10% di coloro che avevano ottenuto i migliori risultati nel Word Chain Test, il test utilizzato per determinare la competenza di lettura da un’ortografia regolare; l’altro era invece composto dal 10% di quanti avevano incontrato maggiori, difficoltà, ottenendo i punteggi più bassi, senza però essere classificabili come dislessici. Il reclutamento del campione è avvenuto tra gli studenti universitari della NTNU, selezionati in modo casuale.

I soggetti sono stati sottoposti tramite l’applicazione “Magno” al test sull’elaborazione visiva (Motion and the Form test), utilizzato per misurare l’efficacia del cervello nel rilevare movimenti o rapidi cambiamenti nell’ambiente circostante. A questo si è aggiunto un compito di “controllo” relativo all’individuazione di una figura fissa all’interno di uno schema. Il gruppo con minori abilità di lettura ha mostrato una sensibilità al movimento inferiore rispetto al primo: “Tra i due gruppi – ha spiegato Sigmundsson – abbiamo riscontrato una chiara differenza con alta o bassa alfabetizzazione nella loro capacità di percepire il movimento[2]. Non è stata invece rilevata alcuna differenza significativa nel compito di individuare una forma coerente.

Questi risultati mettono in luce una correlazione tra la ridotta sensibilità a percepire un movimento e una vulnerabilità dell’area visiva dorsale. I dati sembrano supportare quelle teorie[3] che suggeriscono come l’elaborazione visiva sia coinvolta nell’abilità di decodifica delle parole, e che i segnali gangliari – magnocellulari – influenzino la decodifica delle stesse in modo percettivo dal basso verso l’alto. Un ulteriore sguardo su questi risultati indica che non sono necessari problemi di elaborazione visiva per lo sviluppo delle difficoltà di lettura, ma che queste possono essere una delle possibili cause di tali difficoltà.


[1] K. Egset, B. Wold, J. Krogstie, H. Sigmundsson, Magno App: Exploring Visual Processing in Adults with High and Low Reading Competence, in “Scandinavian Journal of Educational Research”, 7 January 2020.

[2] https://medicalxpress.com/news/2020-01-vision-real-children-motor-skill.html

[3] Stein J., Walsh V., To see but not to read; the magnocellular theory of dyslexia,in “Trends in Neurosciences”, 20(4), 147–152, 1997; Vidyasagar T. R., Pammer K., Dyslexia: A deficit in visuo-spatial attention, not in phonological processing, in“Trends in Cognitive Sciences”, 14(2), 57–63, 2010.

Favorire la vista: si inizia fin dai neonati

“Come impariamo a vedere” è il workshop che Daniela Ricci, neuropsichiatra infantile del Polo Nazionale di Ipovisione e Riabilitazione Visiva, e i suoi collaboratori, terranno a Roma il 14 e 15 febbraio prossimi. Ma è, anche, l’occasione per raccontare un intero ambito della riabilitazione: quello che riguarda l’ipovisione in età infantile, le sue cause e le possibilità di recupero offerte dalla plasticità cerebrale spontanea e indotta nei primi mesi di vita.

“La vista è cruciale fin dall’epoca neonatale per lo sviluppo del bambino, delle sue capacità motorie e relazionali. Altrettanto cruciale – spiega la dottoressa Daniela Ricci – è individuare precocemente qualsiasi problema visivo e raggiungere una diagnosi che permetta di affrontarlo, in modo da favorire lo sviluppo di tutte le potenzialità del bambino”. Il Polo Nazionale per la riabilitazione Visiva, presso il quale la dottoressa opera in qualità di neuropsichiatra infantile, segue, ogni anno, circa 800 bambini ipovedenti.

Molti di questi hanno una sorprendente capacità di recupero, anche nel caso di gravi lesioni cerebrali, perché nel periodo attorno al termine della gravidanza, la plasticità del cervello è maggiore: “Ciò significa – spiega la dottoressa – che quando il danno avviene in epoca neonatale le aree cerebrali adiacenti, ancora integre, vicariano le funzioni che sono riconosciute come importanti. Questa capacità plastica spontanea è massima nella prima infanzia, ma studi recenti evidenziano come la plasticità “indotta” dalla riabilitazione può migliorare le competenze visive a tutte le età”.

I problemi della vista possono avere origine da cause diversissime, alcune molto gravi altre meno, ma nessuna di queste cause può essere ignorata e la valutazione delle competenze visive deve essere eseguita fin dai primi giorni di vita quando c’è un rischio. Nel caso di patologie oculari i problemi visivi possono non essere evidenti ma i controlli ortottici e oculistici devono essere eseguiti fin dai primi mesi di vita. Al contrario, in alcune patologie cerebrali, la difficoltà visiva può essere il primo segno che si evidenzia, con scarsa attenzione o scarsa capacità di fissare e seguire un gioco. In entrambi i casi bisogna pensare ad un possibile problema visivo e cercarne la causa. Più precoce è la diagnosi, e quindi il nostro intervento, maggiore potrà essere il recupero e lo sviluppo delle potenzialità del bambino”.

Questo è l’orizzonte del Workshop “COME IMPARIAMO A VEDERE – La valutazione e la riabilitazione neurovisiva precoce” che si terrà a Roma il 14/15 febbraio 2020 (qui il link per iscrizione).

“Un appuntamento dedicato a diverse categorie professionali nel mondo sanitario – spiega Ricci che ne è l’organizzatrice – per raccogliere sinteticamente le informazioni più importanti su come riconoscere un problema visivo, quali accertamenti fare precocemente e come intervenire per favorire la maturazione delle competenze visive e lo sviluppo psicomotorio del bambino”.

Dottoressa, qual è l’incidenza dell’ipovisione in età pediatrica e quali le cause?

In realtà non abbiamo dati chiari che riguardano i bambini, in Italia. Secondo il Rapporto ISTAT Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea, nel nostro Paese oltre un terzo degli anziani soffre di limitazioni visive almeno moderate, il che equivale a 4,5 milioni di persone. Due persone su cento, dai 15 anni in su, soffrono di gravi limitazioni sul piano visivo, percentuale che sale al 5,4% tra chi ha più di 65 anni e all’8,6% per chi ha almeno 75 anni. Non ci sono dati altrettanto certi per i soggetti di età inferiore ai 15 anni. Possiamo, però, dire che, poiché sino al 70% dei bambini con problemi motori, esito di lesione cerebrale, possono presentare un deficit visivo associato, almeno 2 bambini su 1000 nati vivi ogni anno hanno un alto rischio di sviluppare un deficit visivo. A questi vanno aggiunti i bambini con patologia oculare.

In cosa consiste il percorso di riabilitazione?

L’attività di base è sempre il gioco perché il nostro compito fondamentale è stimolare il bambino ad usare la vista, trovarla interessante, in modo tale che l’esercizio e lo sforzo, combinato alla capacità del cervello di sostituire i neuroni danneggiati con altri adiacenti intatti, permetta di sviluppare al massimo le competenze visive. Poiché abbiamo dei protocolli di valutazione, standardizzati e facili da eseguire, che ci permettono di identificare una difficoltà visiva sin dall’epoca neonatale, noi iniziamo le nostre osservazioni anche in Terapia Intensiva Neonatale. L’intervento iniziale, soprattutto in epoca neonatale, è spesso mirato più sul genitore. Appena avuta una diagnosi il genitore si sente spesso impotente e non ha strumenti per comprendere come aiutare il proprio piccolo. Il nostro compito è affiancare il genitore nelle prime fasi per permettergli di capire come piccole cose, come organizzare l’illuminazione dell’ambiente, l’alimentazione, il gioco e le coccole (contrastando il proprio volto permettendo così al bambino di guardarlo) rendono già il bambino competente. In questo modo rinforziamo il rapporto genitore-bambino che, in presenza di un deficit sensoriale, viene sempre messo a rischio e rendiamo l’adulto più sicuro nella sua funzione di educatore e più sereno nel rapporto con il bambino. A quell’età le possibilità di recupero sono davvero buone, ma l’intervento, lo ripeto, deve essere precoce e tempestivo”.

Per maggiori informazioni o per contattare il centro inviare una mail a cedirivi@gmail.com con la documentazione già in possesso e la richiesta della valutazione

Smartphone e mobilità: una breve guida alle nuove app

Riabilitazione per gli ipovedenti significa acquisire competenze come l’orientamento. In questa conquista o riconquista di autonomia i cellulari possono fornire un valido aiuto integrativo.

Di Marco Sulfaro, Ortottista Assistente in Oftalmologia presso il Polo Nazionale per la Riabilitazione Visiva degli Ipovedenti.

Gli smartphone e i tablet sono divenuti pressoché ubiquitari nel contemporaneo. Secondo un sondaggio pubblicato sulla rivista Digitalic le persone che possiedono uno smartphone nel mondo sono l’82% (Deloitte – Global Mobile Consumer Survey 2015). Oltre che un compagno quotidiano gli smartphone possono diventare un valido aiuto per le persone portatrici di diversi tipi di disabilità. Cioè avviene in parte per la facilità e frequenza di utilizzo: nella popolazione generale i cellulari si guardano in media 47 volte al giorno, 86 nel caso dei più giovani e la prima visualizzazione avviene per l’89% degli intervistati entro 1 ora dal risveglio (ibidem op. cit.). Ma un’altra ragione è la progettazione inclusiva e la presenza di programmi specializzati. In particolare le persone cieche o ipovedenti possono avvalersi di un’accessibilità dedicata e specifica. Talvolta gli smartphone e i tablet entrano di diritto nei progetti riabilitativi integrando o sostituendo gli ausili quotidianamente utilizzati dagli individui ipovedenti, per esempio video ingranditori e lenti di ingrandimento.

Tra le funzioni più apprezzate degli smartphone, infatti, c’è la possibilità di ottimizzazione a tutto schermo la funzione di zoom, di aumentare i contrasti e di avvalersi di una sintesi vocale dettagliata.

Inoltre è possibile scaricare, anche gratuitamente, molte applicazioni (nel linguaggio comune APP). Uno dei principali campi d’interesse è la possibilità di fornire informazioni utili all’orientamento ed alla mobilità.

I pazienti affetti da grave disabilità visiva hanno spesso una marcata incapacità ad orientarsi e muoversi negli spazi e per questo motivo necessitano di interventi riabilitativi che prevedano l’acquisizione di competenze da parte di personale qualificato, gli istruttori di orientamento e mobilità.

Il training con l’istruttore di orientamento e mobilità è un intervento essenziale per questa tipologia di pazienti. È questa la capacità fondamentale che permette, poi, di utilizzare al meglio le tecnologie di geolocalizzazione e navigazione che possono supportare significativamente l’autonomia della persona con grave disabilità visiva in ambiente indoor ed outdoor.

Di seguito alcuni esempi delle applicazioni esistenti per coadiuvare la mobilità degli ipovedenti

BlindSquare: è un’applicazione di navigazione accessibile indoor ed outdoor, sviluppata in collaborazione con non vedenti, che utilizza un sistema GPS ed una bussola per la geolocalizzazione. La APP filtra le informazioni più importanti dall’ambiente circostante come ad esempio l’individuazione di un ufficio postale e distingue tra itinerari a piedi o con mezzi.

Moovit: è attiva in 150 città, che individua l’itinerario da seguire con i mezzi pubblici urbani. L’utente che utilizza la navigazione assistita di Moovit può ricercare i mezzi pubblici per raggiungere un determinato indirizzo, può avere informazioni sulle fermate intermedie e, alla fine del percorso, riceverà una notifica per informarlo che è arrivato.

ViaOptaNav: è un applicazione gratuita per il sistema operativo iOS e per Android. Ideato per non vedenti, solo per tragitti pedonali, risulta utile anche per gli ipovedenti, consentendo modifiche di colore e contrasto su ogni schermata. È possibile salvare dei percorsi preferiti ed individuare percorsi accessibili (pavimenti tattili, attraversamenti pedonali).

TapMyLife: dedicata alla navigazione indoor; consente la geolocalizzazione di persone in luoghi chiusi non ottenibile con i sistemi GPS. Attualmente i campi di applicazione sono le strutture sanitarie. Non richiede alcuna riorganizzazione degli ambienti e connessioni web di ogni genere (connessione dati, Wi-Fi).

Google Maps: la popolare APP di Google si è recentemente aggiornata con una nuova funzione, attiva negli USA e in Giappone. Questa funzione prevede un accompagnamento vocale dettagliato pensato per ampliare l’autonomia di ipovedenti e non vedenti soprattutto nei tragitti non familiari. Il nuovo software aiuterà gli utenti a giungere a destinazione con delle informazioni di mobilità passo passo. La voce indicherà il percorso pedonale con istruzioni vocali semplici, potrà segnalare un eventuale percorso errato, sosterrà con rassicurazione l’utente chiedendo maggiore attenzione in percorsi affollati e con particolari insidie, come ad esempio per gli attraversamenti trafficati. Questa nuova versione sarà disponibile sulle versioni Android e iOS. (vedi articolo)


Riabilitare la persona anziana nella sua interezza

SOI

Il lutto per la perdita della vista può pesare più dell’ipovisione in sé. Ma gli anziani hanno anche punti di forza. La plasticità cerebrale in primis. Per superare la difficoltà si deve tener conto di forza e fragilità assieme, come è emerso al Simposio del Polo Nazionale al 99° Congresso SOI

Più aumenterà la longevità più aumenteranno i problemi alla vista. È stata questa la premessa del Simposio “L’approccio integrato nella riabilitazione dell’anziano” tenuto dal Polo Nazionale per la riabilitazione visiva degli ipovedenti al 99° congresso nazionale SOI mercoledì 21 novembre 2019.

Anziani e grandi anziani sono e saranno i pazienti più frequenti per gli oculisti perché il tessuto nervoso degli occhi non ha ridondanza come avviene per le cellule cerebrali. Questo significa che il danno ai neuroni degli occhi (i fotorecettori), dovuti all’invecchiamento o all’effetto di traumi e patologie, non può essere compensato. Il danno alla parte nervosa dell’occhio è irreversibile.

Questo dato di fatto sottolinea, in sé stesso, l’importanza della prevenzione e delle visite specialistiche periodiche. Molte malattie, come la degenerazione maculare legata all’età, il glaucoma e la retinopatia diabetica possono essere contenute facilmente se diagnosticate per tempo. Ma, essendo asintomatiche negli stadi iniziali, quando cominciano a farsi notare è già troppo tardi, perché parte del danno è già avvenuto. Solo un medico oculista può individuarlo in tempo.

Questo punto di debolezza, però, non è assoluto.

Il cervello, infatti, continua ad evolvere, adattarsi ed imparare per tutta la vita e non solo in determinate età come si pensava un tempo. È il fenomeno noto come plasticità cerebrale. La corteccia visiva, per esempio, può essere “allenata” a farsi carico delle funzioni di altre parti della corteccia collegate a sezioni di nervo ottico e retina ormai compromesse. Anche una vita fisicamente attiva e ricca dal punto di vista relazionale influisce in maniera determinante sulla salute e sulla capacità di recupero.

Esistono, perciò, forti elementi che rendono possibili sia la prevenzione che il percorso di riabilitazione.

Non va dimenticato, però, l’aspetto psicologico che può pesare quanto e più di quello fisico. La reazione dell’anziano alla ipovisione attraversa, infatti, tutti gli stadi del lutto perché la perdita della vista viene vissuta come una drammatica perdita di una parte di sè. “Ansia e depressione – spiega Simona Turco, oculista e Referente per la ricerca del Polo Nazionale – diventano una malattia dentro la malattia, soprattutto nel caso di patologie che peggiorano progressivamente”.

“Gli oculisti, – è stato il messaggio principale del Simposio – devono tenere conto di questo aspetto psicologico esattamente come tengono conto della pressione o della vascolarizzazione. Comunicazione empatica, informare nel dettaglio, sfatare i falsi miti (per esempio che la degenerazione maculare porta al “buio” della cecità ), coinvolgere familiari e care giver nel flusso delle informazioni: ecco i passaggi fondamentali ai quali si affianca la sonministrazione di semplici e rapidi questionari (PHQ-9 screening per depressione; GAD-7 screening per ansia)[1] che aiutano l’oculista a cambiare modalità della comunicazione, trattamenti e visite di follow-up ed eventualmente, ad indirizzare la persona assistita verso un’assistenza psichiatrica o psicologica”.

“Tutti noi – conclude Simona Turco – dovremmo cambiare livello di comunicazione: smettere di parlare di riabilitazione ipovisiva e iniziare a parlare di riabilitazione della persona ipovedente.  L’anziano, infatti, è investito nella sua interezza dal trauma dell’ipovisione. Ed è solo con l’insieme della sua persona – il corpo e la mente, i punti di forza e le debolezze – che se ne può sollevare”.


[1] La Psicologia come Scienza della Salute: Pre-atti del XII Congresso Nazionale Associazione S.I.P.S.A. Società Italiana di Psicologia della Salute. Firenze, 3-5 novembre 2017 –  Pag 132, capitolo IPOVISIONE E DEPRESSIONE […] Emanuela Rellini, Stefania Fortini, Simona Turco

L’approccio integrato nella riabilitazione dell’anziano

Oftalmologia

Il Polo Nazionale Ipovisione partecipa al 99° Congresso della SOI. Appuntamento il mercoledì 20 novembre 12:30 – 14:00 – SALA ELLISSE.

Tra il 20 e il 23 novembre 2019 si tiene a Roma il 99° Congresso nazionale della Società Oftalmologia Italiana che celebra, anche il 150° anno dalla sua Fondazione. Durante questo appuntamento, ospitato nel Centro Congressi Rome Cavalieri[1], il Polo Nazionale Ipovisione condurrà il simposio: LA RIABILITAZIONE VISIVA NEL SOGGETTO ANZIANO: L’APPROCCIO INTEGRATO OTTICA, REFRAZIONE, CONTATTOLOGIA MEDICA, IPOVISIONE

L’appuntamento è alle ore 12:30 presso la sala Ellisse

Ecco programma della sessione con l’elenco dei temi e dei relatori:

12:30

Chi è l’anziano oggi – R. Bernabei

12:45

L’aspetto neuropsicologico dell’anziano complesso – G. Onder

13:00

Gli aspetti psicologici dell’anziano ipovedente – S. Fortini

13:10

Riabilitazione visiva nell’anziano: modello d’intervento della regione Veneto – E. Pilotto

13:20

Riabilitazione visiva nell’anziano: modello d’intervento della regione Toscana – V. Murro

13:30

Riabilitazione visiva nell’anziano: modello d’intervento della regione Lazio – M. Cesareo

13:40

Riabilitazione visiva nell’anziano: modello d’intervento della regione Puglia – M.C. Costa

13:50

Discussione

14:00

Fine della sessione


[1] Centro Congressi Rome Cavalieri via Cadlolo,101 00136 Roma (LINK)