“Come impariamo a vedere” è il workshop che Daniela Ricci, neuropsichiatra infantile del Polo Nazionale di Ipovisione e Riabilitazione Visiva, e i suoi collaboratori, terranno a Roma il 14 e 15 febbraio prossimi. Ma è, anche, l’occasione per raccontare un intero ambito della riabilitazione: quello che riguarda l’ipovisione in età infantile, le sue cause e le possibilità di recupero offerte dalla plasticità cerebrale spontanea e indotta nei primi mesi di vita.
“La vista è cruciale fin dall’epoca neonatale per lo sviluppo del bambino, delle sue capacità motorie e relazionali. Altrettanto cruciale – spiega la dottoressa Daniela Ricci – è individuare precocemente qualsiasi problema visivo e raggiungere una diagnosi che permetta di affrontarlo, in modo da favorire lo sviluppo di tutte le potenzialità del bambino”. Il Polo Nazionale per la riabilitazione Visiva, presso il quale la dottoressa opera in qualità di neuropsichiatra infantile, segue, ogni anno, circa 800 bambini ipovedenti.
Molti di questi hanno una sorprendente capacità di recupero,
anche nel caso di gravi lesioni cerebrali, perché nel periodo attorno al
termine della gravidanza, la plasticità
del cervello è maggiore: “Ciò significa – spiega la dottoressa – che quando
il danno avviene in epoca neonatale le aree cerebrali adiacenti, ancora
integre, vicariano le funzioni che sono riconosciute come importanti. Questa
capacità plastica spontanea è massima nella prima infanzia, ma studi recenti
evidenziano come la plasticità “indotta”
dalla riabilitazione può migliorare le competenze visive a tutte le età”.
“I problemi della
vista possono avere origine da cause diversissime, alcune molto gravi altre
meno, ma nessuna di queste cause può
essere ignorata e la valutazione delle competenze visive deve essere eseguita
fin dai primi giorni di vita quando c’è un rischio. Nel caso di patologie
oculari i problemi visivi possono non essere evidenti ma i controlli ortottici e oculistici devono essere eseguiti fin dai
primi mesi di vita. Al contrario, in alcune patologie cerebrali, la
difficoltà visiva può essere il primo segno che si evidenzia, con scarsa
attenzione o scarsa capacità di fissare e seguire un gioco. In entrambi i casi
bisogna pensare ad un possibile problema
visivo e cercarne la causa. Più precoce è la diagnosi, e quindi il nostro
intervento, maggiore potrà essere il recupero e lo sviluppo delle potenzialità
del bambino”.
Questo è l’orizzonte del Workshop “COME IMPARIAMO A VEDERE – La valutazione e la riabilitazione neurovisiva precoce” che si terrà a Roma il 14/15 febbraio 2020 (qui il link per iscrizione).
“Un appuntamento dedicato a diverse categorie professionali
nel mondo sanitario – spiega Ricci che ne è l’organizzatrice – per raccogliere
sinteticamente le informazioni più importanti su come riconoscere un problema visivo, quali accertamenti fare
precocemente e come intervenire per favorire la maturazione delle
competenze visive e lo sviluppo psicomotorio del bambino”.
Dottoressa, qual è
l’incidenza dell’ipovisione in età pediatrica e quali le cause?
In realtà non abbiamo dati chiari che riguardano i bambini,
in Italia. Secondo il Rapporto ISTAT Condizioni di salute e ricorso ai servizi
sanitari in Italia e nell’Unione europea, nel nostro Paese oltre un terzo degli
anziani soffre di limitazioni visive almeno moderate, il che equivale a 4,5
milioni di persone. Due persone su cento, dai 15 anni in su, soffrono di gravi
limitazioni sul piano visivo, percentuale che sale al 5,4% tra chi ha più di 65
anni e all’8,6% per chi ha almeno 75 anni. Non ci sono dati altrettanto certi
per i soggetti di età inferiore ai 15 anni. Possiamo, però, dire che, poiché
sino al 70% dei bambini con problemi motori, esito di lesione cerebrale,
possono presentare un deficit visivo associato, almeno 2 bambini su 1000 nati vivi ogni anno hanno un alto rischio di
sviluppare un deficit visivo. A questi vanno aggiunti i bambini con
patologia oculare.
In cosa consiste il
percorso di riabilitazione?
L’attività di base è sempre
il gioco perché il nostro compito fondamentale è stimolare il bambino ad
usare la vista, trovarla interessante, in modo tale che l’esercizio e lo sforzo, combinato alla capacità del cervello di
sostituire i neuroni danneggiati con altri adiacenti intatti, permetta di
sviluppare al massimo le competenze visive. Poiché abbiamo dei protocolli di
valutazione, standardizzati e facili da eseguire, che ci permettono di
identificare una difficoltà visiva sin dall’epoca neonatale, noi iniziamo le
nostre osservazioni anche in Terapia Intensiva Neonatale. L’intervento iniziale, soprattutto in epoca neonatale, è spesso mirato
più sul genitore. Appena avuta una diagnosi il genitore si sente spesso
impotente e non ha strumenti per comprendere come aiutare il proprio piccolo.
Il nostro compito è affiancare il genitore nelle prime fasi per permettergli di
capire come piccole cose, come
organizzare l’illuminazione
dell’ambiente, l’alimentazione, il gioco e le coccole (contrastando il
proprio volto permettendo così al bambino di guardarlo) rendono già il bambino
competente. In questo modo rinforziamo
il rapporto genitore-bambino che, in presenza di un deficit sensoriale,
viene sempre messo a rischio e rendiamo l’adulto più sicuro nella sua funzione
di educatore e più sereno nel rapporto con il bambino. A quell’età le
possibilità di recupero sono davvero buone, ma l’intervento, lo ripeto, deve
essere precoce e tempestivo”.
Per maggiori informazioni o per contattare il centro inviare una mail a cedirivi@gmail.com con la documentazione già in possesso e la richiesta della valutazione